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Angelica, mamma dopo un tumore raro: intervista al prof. Lorenzo Cobianchi, tra le persone che lo ha reso possibile

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Di fronte a certe diagnosi, e in particolare quelle oncologiche, l’obiettivo della guarigione della persona malata porta a mettere in secondo piano altri suoi obiettivi e desideri, come ad esempio la possibilità di avere in futuro dei figli.

Alcune rinunce appaiono, nello standard della pratica medica, inevitabili ed è proprio per questo che l’atto stesso di immaginare uno scenario fuori dagli schemi in cui sia possibile superarle è, a suo modo, rivoluzionario.

La pratica medica è fatta di tante “prime volte” ed una di queste riguarda l’esperienza di Angelica, una ragazza a cui la diagnosi di sarcoma dell’osso sacro, in condizioni normali, avrebbe comportato il rischio molto concreto di compromettere la possibilità di dare alla luce una nuova vita.

A frapporsi tra Angelica e questo destino si è posta una task force multidisciplinare del Policlinico San Matteo e del CNAO – Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica, due realtà di Pavia riconosciute come eccellenze nazionali.

Per raccontarci questa vicenda ci permettiamo di coinvolgere uno dei protagonisti di questa task force, Lorenzo Cobianchi, professore di chirurgia all’Università di Pavia – impegnato a tempo pieno presso L’IRCCS Ospedale San Matteo di Pavia in attività clinica e di ricerca – e membro del comitato d’indirizzo ITIR.

Professore, grazie per la disponibilità: ci può aiutare a capire meglio la peculiarità di questa vicenda e la portata di questa novità?

L’idea di base è quella di definire un percorso terapeutico personalizzato per ogni paziente, tenendo in considerazione tutte le esigenze e i rischi più rilevanti.

Nel caso di Angelica, la radioterapia poteva essere molto efficace nella risoluzione del problema oncologico. Tuttavia, la “forza” delle particelle nell’attaccare il tumore avrebbe potuto danneggiare organi e tessuti sani vicini alla sede da trattare, proprio considerata la posizione della neoplasia e tra questi vi era l’apparato riproduttore.

In questo senso, l’unica strategia che potesse bilanciare la necessità di trattare il tumore e, nel contempo, proteggere gli organi sani a rischio, era quella, per l’appunto, di “mettere al riparo” utero e ovaie.

Studiando il caso con le colleghe radioterapiste, abbiamo deciso di inserire chirurgicamente uno “spacer”, ossia uno “scudo” che potesse “dividere” la zona sottoposta a trattamento dal resto. La complessità chirurgica non era però limitata all’inserimento del dispositivo, ma anche ad una necessaria dislocazione di utero e ovaie rispetto alla loro posizione originaria.

L’intervento è avvenuto in chirurgia laparoscopica (ovvero mininvasiva), e non solo è riuscito all’atto dell’operazione dal punto di vista tecnico ma, vista la gravidanza naturale di Angelica, che nel mese di dicembre del 2022 ha messo al mondo sua figlia Federica, ha sortito l’effetto desiderato.

Intanto congratulazioni a lei e tutte le persone coinvolte per quanto realizzato, che non mancherà di fare scuola. Pur sapendo che è un processo complesso, ci può aiutare a capire come nasce una soluzione innovativa come questa?

In realtà la difficoltà, più che tecnica in se, è stata nell’assenza di letteratura e quindi dalla necessità di “adattare” soluzioni proposte in altri contesti al caso specifico. Ovviamente, la discussione multidisciplinare – non a caso il modello che portiamo avanti con ITIR – e il fatto di portare più competenze sullo stesso tavolo sono stati elementi fondamentali per studiare una soluzione.

Le nuove tecnologie e innovazioni terapeutiche – come l’adroterapia oncologica disponibile presso il CNAO – giocano un ruolo fondamentale nell’ampliare il reame del possibile in campo medico: come questa e altre novità stanno cambiando le prospettive del paziente?

In medicina vi possono essere molteplici tipologie di innovazione: innovazioni in ambito terapeutico, come nuovi protocolli clinici o trattamenti farmacologici; in ambito tecnologico, come nuove tecniche di diagnosi e trattamento, e infine in ambito organizzativo, come la definizione di nuovi PDTA di gestione del paziente.

Tutte queste innovazioni, insieme, possono dare dei risultati straordinari nel migliorare non solo l’esito clinico finale, ma anche e soprattutto l’esperienza del paziente, incluse le opzioni tra cui scegliere nel rispetto delle volontà e preferenze individuali.

Si tratta di un panorama molto vivace e in continuo cambiamento.

Il successo ottenuto è stato frutto di un importante lavoro di squadra ed un approccio multidisciplinare: su questo fronte stiamo assistendo a dei cambiamenti nella professione medica?

Assolutamente. Oggi la multidisciplinarietà è fondamentale per garantire al paziente la miglior risposta personalizzata rispetto ad una problematica clinica. Nel caso di Angelica, il team è stato prevalentemente medico, ma nel panorama attuale sempre di più l’alleanza multidisciplinare vede l’intervento di professionisti in ambiti diversi: si pensi ad esempio all’importanza della nutrizione durante i percorsi di cura oncologici.

Inoltre, l’innovazione clinica, tecnologica e organizzativa richiede l’intervento congiunto di professionisti al di fuori dell’ambito squisitamente medico quali ingegneri, informatici, biologi, farmacisti, economisti. Questo è uno dei pilastri del nostro Healthcare Transformation Lab

Cosa serve per trasformare risultati eccezionali come quello che avete ottenuto nella “nuova normalità”, accelerando il processo con cui le frontiere della pratica clinica diventano sempre più accessibili per un più ampio numero di persone?

La routine deve essere personalizzare e adattare la cura e le soluzioni al singolo paziente, cercando, nel contempo, di coinvolgerlo nel modo più ampio possibile nel comprendere le varie opzioni cliniche e nel partecipare attivamente al percorso, in un’ottica di co-produzione.

La condivisione successiva delle soluzioni intraprese e degli esiti, come nel caso di Angelica, può sicuramente essere utile alla comunità clinica in generale.

Ringraziamo il professor Cobianchi per il suo tempo ed i suoi contributi, che condividiamo con piacere come stimoli per avvicinare una sanità sempre più capace di aiutare le persone nei loro percorsi di vita, preservandone la qualità ed il potenziale.