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Rendere la ricerca biomedica sempre più sostenibile: grazie all’esplorazione di nuovi paradigmi e soluzioni innovative il T-lab “Sustainable life science lab”, guidato da Francesca Magnani, cerca di accelerare la transizione della pratica quotidiana verso dinamiche e processi più sostenibili, sia sotto il profilo sociale che quello ambientale.
Uno dei fronti di ricerca più interessanti è quello legato alle microalghe e per comprenderne meglio il potenziale abbiamo intervistato Alberta Pinnola, ricercatrice ITIR e Professoressa associata in Fisiologia Vegetale presso il Dipartimento di Biologia e Biotecnologie dell’Università di Pavia.
Grazie mille per la disponibilità. Iniziamo da una curiosità: possiamo chiederti come sei arrivata a occuparti di piante?
Mi sono laureata in Biologia presso l’Università degli Studi della Calabria e poi ho svolto il Dottorato in Biotecnologie Molecolari, Ambientali ed Industriale presso il Dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona. È proprio con il dottorato che ho concentrato i miei interessi verso il mondo vegetale. Il fascino di questo contesto deriva dal fatto che ne siamo circondati e troppo spesso lo diamo per scontato.
Senza alghe, muschi e piante non ci sarebbe ossigeno sul nostro pianeta! Inoltre, assorbono anidride carbonica dall’atmosfera, contribuendo alla lotta contro il cambiamento climatico. Ci forniscono anche cibo, materie prime e presentano, grazie anche ai più recenti sviluppi della ricerca, un potenziale enorme per una varietà di applicazioni.
A proposito di alghe: hanno un ruolo sempre più importante nella bioeconomia, giusto? Quali sono i loro impieghi?
Le alghe e, in particolare, le microalghe (ossia le specie di alghe costituite da singole cellule) dimostrano una spiccata resilienza, intesa come capacità di crescere e propagarsi in contesti dove per altre forme di vita questo è molto difficile. Possono crescere in condizioni davvero ostili alla vita come ad esempio all’interno di scarichi industriali altamente inquinati o in acque salmastre ad alto contenuto di sali inorganici.
Unitamente ad una velocità di crescita pressoché incomparabile con le piante superiori, le microalghe sono uno strumento incredibilmente efficace per attività di biorisanamento ambientale. Il motivo è presto detto: se le microalghe sono in grado di crescere all’interno di contesti fortemente inquinati è anche perchè sono in grado di effettuare una efficiente rimozione di molte delle sostanze tossiche presenti all’interno dell’acqua.
Dalle microalghe è possibile ricavare tantissime risorse (tra cui composti organici utili all’industria chimica e farmaceutica), lipidi (che possono essere convertiti in ingredienti per biocombustibili), vitamine, fertilizzanti e molto altro! È evidente come, in una congiuntura socio-economica come quella attuale in cui l’attenzione alla risorse naturali è massima e l’economia circolare è un tema conduttore, le microalghe rappresentano una opportunità incredibile.
Questo è messo in evidenza anche da un mercato florido e crescente che copre tutti i distretti applicativi, compreso anche l’utilizzo di questi incredibili organismi per produzione di alimenti per l’uomo (che si affiancano ai più noti e utilizzati cianobatteri quali ad esempio la spirulina).
Ve lo immaginate un mondo in cui da un depuratore cittadino o da una grossa azienda attualmente considerata pericolosa e inquinante per le falde acquifere escono risorse anziché rifiuti e biomasse che possono essere riutilizzate molte volte e che presentano scarti minimi?
Quante opportunità! Se invece volessimo comprendere quali sono le criticità attualmente associate con la coltivazione delle microalghe?
Come per ogni tecnologia innovativa lo scetticismo iniziale si accompagna con una significativa difficoltà nell’individuare siti in cui effettuare prove su larga scala. Mentre a livello di laboratorio di ricerca e di impianti pilota siamo ormai ad un livello estremamente convincente per varie applicazioni e per diverse tipologie di microalghe, il numero di impianti in grado di processare microalghe coltivate su scala industriale (anche in effluenti industriali altamente contaminati ma non solo) è per il momento piuttosto limitato.
La fetta più consistente del mercato delle microalghe punta a produzioni ad hoc per il settore alimentare e biofarmaceutico. Bisogna produrre protocolli per l’impiego di queste risorse nel biorisanamento e più in generale nell’economia circolare tenendo presente che un organismo vivente che cresce in un rifiuto speciale diventa a sua volta un rifiuto speciale.
Si tratta di uno scenario che è in continua evoluzione e per il quale mi sento fiduciosa di poter dire che ci saranno importanti cambiamenti nei prossimi anni. In fondo qualche anno fa non ci saremmo mai immaginati di vedere ampie aree di suolo coperte da pannelli solari o da impianti eolici. Quindi non è assurdo immaginare la possibilità di riqualificare aree industriali dismesse e magari anche fortemente inquinate con fotobioreattori in serie in cui le microalghe coltivate trasformino un inquinante in una risorsa.
Questa è proprio una delle sfide che il mio gruppo di ricerca sta affrontando, in sinergia con svariati partner dell’Università di Pavia e di altre Università all’interno del progetto PNRR dell’Ecosistema NODES (Nord Ovest Digitale e Sostenibile), all’interno dello Spoke coordinato dall’Università di Torino dedicato alle Tecnologie Verdi e all’Industria Sostenibile.
Ringraziamo Alberta Pinnola per i suoi interessanti spunti e invitiamo a seguire le attività del T-Lab dedicato alla “Sustainable life science” per ulteriori sviluppi su questo e altri temi di fondamentale importanza per rendere la ricerca biomedica sempre più sostenibile.