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Reshoring, nearshoring e friendshoring: tra novità normative e mutati scenari internazionali, intervista a Fabio Marazzi, Managing Partner BMV

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I fenomeni del reshoring, nearshoring e friendshoring sono in costante evoluzione e, tra i compiti dell’osservatorio attivo nel contesto del nostro T-Lab dedicato alle ReValue Chain, c’è proprio quello di seguirli da vicino. Si tratta di un’osservazione “condivisa”, che trova nella pagina LinkedIn che gestiamo un importante punto di contatto con una crescente comunità di persone interessate a questi temi, scoprendo anche il ruolo delle nuove tecnologie, gli impatti sulla sostenibilità, le strategie di resilienza di grandi imprese e PMI.

L’attenzione a questo tema si era già tradotta, nel 2021, nella pubblicazione di un White Paper sul tema, frutto di un lavoro condiviso di numerosi protagonisti.

A distanza di circa 2 anni, torniamo a coinvolgere uno di questi protagonisti, Fabio Marazzi, Managing Partner di BMV, per alcune riflessioni sul tema.

L’occasione è anche quella di un iter normativo in corso, con un decreto legislativo di attuazione della legge delega fiscale approvato in via preliminare nel Consiglio dei ministri del 16 ottobre 2023 che, come vedremo, mira ad introdurre delle novità sul tema.

Buongiorno dott. Marazzi, grazie ancora per il suo tempo e la sua disponibilità per questa intervista. Partiamo subito dal White Paper: com’è nata l’occasione e come è stato lavorare su questo tema?

A seguito del primo lockdown abbiamo deciso di reagire avviando un progetto su un tema nuovo e per certi versi dirompente. In effetti, come studio di consulenza legale internazionale abbiamo potuto conoscere il fenomeno della globalizzazione con l’apertura di nuovi mercati e l’allungamento delle filiere produttive, accompagnando clienti in moltissimi Paesi ove hanno realizzato i loro progetti; tuttavia, la pandemia aveva imposto un apparente stop a questo fenomeno.
Pertanto, anche prevedendo che l’effetto a medio lungo termine sarebbe stato un’accelerazione della creazione di blocchi commerciali regionali con una tendenziale riduzione delle catene produttive, abbiamo deciso di indagare il fenomeno delle rilocalizzazioni degli impianti produttivi, sviluppando un progetto di benchmark tra diversi Paesi ed elaborando delle proposte di policy che l’Italia avrebbe potuto implementare al fine di rafforzare il trend di reshoring già in corso verso il nostro Paese.

A distanza di 2 anni dall’ultima versione del documento cosa si può dire che sia successo nel mondo?

Sono accaduti diversi eventi, la pandemia e le restrizioni ai movimenti dettate dalla stessa sono via via diminuite, mentre nuove guerre sono scoppiate come il conflitto Russo Ucraino che ha determinato una forte riduzione delle relazioni commerciali (oltre che politiche) tra Russia, Bielorussia e Paesi Occidentali.

Parimenti le relazioni commerciali Russo Cinesi si sono rafforzate dando luogo a un nuovo blocco, con diversi Paesi (gran parte del continente Africano, Turchia, Emirati, Israele, ma per certi versi anche l’India) che, mantengono – almeno a livello commerciale – una sorta di equidistanza tra Occidente e Oriente. Allo stesso tempo è continuato il processo di deterioramento delle relazioni tra Cina e Stati Uniti, con un ulteriore stretta sull’export di tecnologie abilitanti da parte degli Stati Uniti e di alcuni loro alleati (come ad esempio il blocco dell’export di macchinari per la produzione di chip avanzati da parte dell’Olanda).

Se da un lato sembra essere chiara la creazione di due blocchi, dall’altro l’UE e gli Stati Uniti hanno adottato strategie diverse per supportare le rilocalizzazioni delle produzioni. In effetti un sistema di policies, quali un rafforzamento del Buy American Act e l’autorizzazione nel mese di giugno 2022 per l’impiego del Defense Production Act (DPA) al fine di accelerare la produzione domestica di tecnologie energetiche pulite aveva incrementato gli ambiti in cui il governo Federale privilegiava i prodotti domestici, è stato accompagnato da nuovi strumenti legislativi che hanno messo a disposizione fondi pari a centinaia di miliardi di dollari per la promozione della produzione domestica di semiconduttori e tecnologie pulite, con riferimento a Chips Act e all’Inflation Reduction Act (IRA).

Le due misure stanno contribuendo in maniera massiccia ai programmi di investimento: se il primo fa particolare riferimento al settore dei semiconduttori, con uno stanziamento di 39 miliardi di dollari, l’IRA prevede sino a 369 miliardi di dollari di crediti fiscali per le tecnologie pulite, contribuendo, grazie a diverse misure, a sostenere la crescita della domanda per prodotti impiegati nella produzione di energia pulita. L’effetto delle due misure è stato quello di dare slancio a una crescita degli investimenti nel settore dei semiconduttori (ove stavano già crescendo a causa delle difficoltà nelle catene di fornitura), dando altresì una forte spinta agli investimenti e alla produzione di clean tech negli Stati Uniti. Pertanto, negli Stati Uniti si è passati dal sostegno alla rilocalizzazione delle produzioni (grazie anche a incentivi agli investimenti che esistono da tempo e sostengono anche gli investimenti esteri nel Paese) a una serie di misure che stanno supportando la rilocalizzazione ma anche l’onshoring di prodotti precedentemente non realizzati nel Paese in settori strategici quali semiconduttori e clean tech.

L’effetto di queste misure si può vedere nella spesa per costruzioni nel settore industriale, che nel 2022 ha raggiunto un valore di 108 miliardi di dollari rispetto ai 50 miliardi di dollari del 2008.
L’UE ha realizzato annunci e piani, ma sembra che, sebbene gli obiettivi europei appaiano chiari, le policy messe in atto per realizzarli siano molto complesse e che di fatto l’azione dei singoli governi sia alla base dell’attrazione di investimenti strategici: su questo punto si veda ad esempio la possibile creazione di impianti di produzione Intel in Germania e in Italia.

Cogliamo questo accenno al nostro Paese per riprendere la proposta normativa che ha trovato spazio nel Consiglio dei ministri del 16 ottobre 2023: come possiamo inquadrare quanto potenzialmente previsto?

Quanto approvato nel Consiglio dei ministri del 16 ottobre scorso sembra una buona base di partenza. In attesa dell’implementazione della misura notiamo che questa misura favorirebbe non solo le rilocalizzazioni ma anche l’onshoring di nuove attività e, in questo senso, è certamente di grande interesse. Tuttavia, è possibile sottolineare che viene utilizzata solo la leva fiscale, molto importante ma non certo l’unica. In effetti, anche nel nostro White Paper abbiamo ipotizzato una serie di misure, alcune anche a costo zero o quasi zero che semplificherebbero gli investimenti in Italia – e non solo – in caso di reshoring, quali semplificazioni amministrative e la creazione in aree prioritarie di c.d. “one stop shop” volti a fornire servizi di scouting e advisory nel caso di nuovi insediamenti, ma anche operando come enti unici che coordinino tutte le attività amministrative propedeutiche essenziali per l’autorizzazione all’insediamento.
Resta da valutare la possibilità di prevedere, all’interno del quadro regolamentare UE, meccanismi di appalto per forniture al settore pubblico (ad esempio in ambito sanitario) pluriennali, possibilmente dando una preferenza a produttori italiani ed europei, anche al fine di garantire la sicurezza sanitaria del Paese nel caso di emergenze: quanto accaduto con le mascherine non dovrebbe più ripetersi!

Abbiamo un esempio di valorizzazione strategica del reshoring vicino casa: i nostri cugini d’oltralpe si sono già mossi e si stanno muovendo con una certa determinazione: cosa possiamo cogliere dalla loro esperienza?

La Francia è uno dei Paesi Europei che sino al 2020, sulla base della documentazione disponibile, ha registrato il più alto numero di casi di reshoring (insieme all’Italia e al Regno Unito). Ma in Francia, già nel 2013, il 60% delle aziende che avevano rimpatriato le loro produzioni aveva ricevuto il sostegno del Governo francese o da enti locali come mostrato da un’indagine condotta nel 2013 dal Ministero del Rinnovamento Industriale. Nel 2019 il Ministero dell’Economia e delle Finanze del Paese ha sviluppato e messo a disposizione delle aziende un software per la autovalutazione circa il loro grado di preparazione al reshoring al fine di identificare i punti di forza e la preparazione per affrontare tale strategia e in alcuni casi sembra aver legato gli aiuti pandemici a piani di reshoring nel Paese. Sembrerebbe pertanto che i nostri cugini d’oltralpe abbiano già da anni una volontà chiara di sostegno alla rilocalizzazione delle produzioni, realizzando misure concrete a sostegno del reshoring.

Possiamo dire che la scelta di avvicinare la produzione non è solo economica e si innesta in un trend di crescente attenzione alla qualità del lavoro, al rispetto dell’ambiente e in generale a tematiche che rientrano nel più ampio cappello dell’espressione ESG?

Sì, certamente, una serie di diversi fattori incidono e in effetti negli ultimi tempi non si parla solo di reshoring, ma anche di nearshoring, friendshoring e greenshoring. I termini, in un certo senso danno un’indicazione sintetica in merito ai diversi elementi del fenomeno: se il reshoring consiste in una rilocalizzazione nel Paesi di origine di produzioni precedentemente delocalizzate in Paesi anche lontani, il nearshoring consiste in un processo per il quale produzioni localizzate lontano (Cina e Far East) non vengono riportate nel Paese di origine (Usa o Paesi europei) ma in Paesi vicini (Ad esempio il Messico per gli Stati Uniti), Est Europa o alcuni Paesi del Nord Africa per i produttori dell’Europa occidentale.

Il friendshoring, di cui ha parlato Janet Yellen, Segretario del Tesoro degli Stati Uniti ad aprile 2022, consiste in un fenomeno già in atto. Oltre alla “nuova” divisione in blocchi conseguente al conflitto Russo Ucraino, se consideriamo l’Asia, gli effetti della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina dell’era Trump e le tensioni durante la Presidenza Biden, (nonostante la ripresa delle importazioni Statunitensi dalla Repubblica Popolare che nel 2021 hanno superato i livelli 2019), hanno finora portato a un forte aumento dell’import statunitense dal Vietnam (cresciuto del 100% dal 2017) e a un aumento dell’import dalla Thailandia e Corea del Sud che dura ormai da alcuni anni. Inoltre, l’Indo Pacific Economic Framework Agreement (IPEF) attualmente in fase di discussione, vede tra gli Stati partecipanti, oltre agli Stati Uniti, Paesi come Australia, India, Giappone e le principali economie dell’ASEAN, con esclusione della Cina. L’IPEF è un accordo commerciale “atipico” in quanto non sembra prevedere un migliore accesso al mercato statunitense, ma un dialogo per future negoziazioni su quattro capitoli quali commercio, supply chain, energia pulita, decarbonizzazione e infrastrutture, tassazione e anticorruzione.

L’obiettivo sembra essere quello di definire regole comuni per quanto concerne i quattro capitoli oggetto di negoziato. Resta da valutare se l’implementazione delle regole comuni che saranno definite nel corso delle trattative tra i vari Paesi costituiranno in futuro un requisito per l’accesso al mercato statunitense, creando non solo un blocco economico omogeneo, ma implementando di fatto friendshoring con i Paesi aderenti. Il friendshoring in Europa ha portato da ultimo a un forte incremento dell’importazione di gas liquefatto dagli Stati Uniti, sostituendo parte dell’import dalla Russia. Tuttavia, il meccanismo UE degli accordi di associazione con Paesi terzi o l’avvio di procedure di adesione per Paesi quali Ucraina e Moldova con le possibili ricadute sull’incremento degli scambi commerciali, consiste di fatto in un meccanismo istituzionalizzato di friendshoring.

L’impatto della sostenibilità sulle filiere produttive, con una maggiore considerazione anche dei diritti dei lavoratori sembra poter spingere verso il reshoring o il nearshoring in particolare di alcuni settori. Pensiamo alla moda (già al centro del reshoring per la tematica “Made in”): un brand che voglia scegliere la sostenibilità dovrà abbandonare fornitori che non seguano i valori di rispetto dell’ambiente e dei lavoratori. Ad esempio, la critica all’insostenibilità del fast fashion potrebbe in effetti portare a un graduale ritorno verso un mix di consumi che privilegi la qualità dei prodotti e non solo il prezzo o la frequenza di riassortimento delle collezioni. In generale questo dovrebbe portare a una riduzione della produzione nei Paesi del far East e in altri Paesi asiatici e a un avvicinamento all’Europa o, nel caso di brand di lusso italiani, all’Italia.

Il reshoring, ma soprattutto il nearshoring ed il friendshoring sono delle occasioni importanti anche per delle aziende estere di portare nel nostro Paese le loro produzioni, tenendo conto delle nostre peculiarità ed esperienze. In base alla sua esperienza, che cosa consiglia di valutare a queste realtà?

Assolutamente sì: stiamo cercando di promuovere proprio questo tipo di opportunità sui mercati ove siamo più presenti, quali ad esempio Stati Uniti, India ed Israele.

Siamo alla fine di questa intervista e ringraziamo nuovamente il dott. Marazzi per questo importante aggiornamento: restiamo in attesa degli sviluppi normativi su questo tema e presto avremo modo di condividere un’ulteriore occasione di incontro e confronto per le realtà più interessate al tema.

A tal fine quindi, l’invito è quello di continuare a seguirci, su questo sito ma anche sulla nostra pagina LinkedIn, dove non mancheremo di condividere prontamente ogni novità!