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Il secondo report annuale del Capgemini Research Institute, “The Resurgence of Manufacturing: Reindustrialization strategies in Europe and the US – 2025”, offre una fotografia nitida delle trasformazioni in corso nel panorama produttivo globale.
Mentre le aziende europee e statunitensi si interrogano sulle proprie vulnerabilità, le strategie di reindustrializzazione — sotto forma di reshoring, nearshoring e friendshoring — stanno emergendo come risposte concrete alla crescente incertezza geopolitica, alla pressione normativa e ai recenti shock economici e logistici.
I numeri parlano chiaro:
- il 73% considera il friendshoring (la riallocazione della produzione verso Paesi “amici”) un pilastro della propria strategia industriale;
- il 66% delle aziende intervistate ha già una strategia di reindustrializzazione o sta sviluppandola;
- il 65% delle imprese sta attivamente riducendo la propria dipendenza dalla Cina;
- il 54% ritiene che l’inasprimento delle tariffe sulle importazioni accelererà ulteriormente questo processo.
Questi dati confermano che la spinta alla reindustrializzazione è ormai un fenomeno sistemico, e non più episodico o legato a singole industry: è il risultato della sovrapposizione di fattori economici, politici e ambientali che stanno riscrivendo le logiche con cui le aziende organizzano le proprie catene di fornitura e strutturano la propria capacità produttiva.
Ripensare la geografia industriale non è però un’operazione meccanica. Non basta “riportare a casa” la produzione per costruire una filiera più resiliente: la sfida vera risiede nella ricostruzione delle competenze e dei tessuti produttivi che la globalizzazione, in 40 anni di evoluzione, ha contribuito a frammentare e distribuire in modo altamente specializzato a livello globale.
Negli ultimi decenni, il modello industriale si è orientato verso la massima efficienza, spostando la produzione in quei Paesi dove costi, capacità tecniche e condizioni normative risultavano più favorevoli. Questo ha generato una forte specializzazione geografica: componenti critici, know-how tecnologico e competenze industriali si sono concentrati in specifiche aree del mondo (Asia orientale in primis), creando un equilibrio globale interdipendente.
Ora che la resilienza di configura come priorità, le imprese e i policymaker si trovano davanti a una sfida enorme: ricostruire ecosistemi industriali in contesti che, nel tempo, hanno perso capacità tecniche e produttive, con tutte le implicazioni che ciò comporta in termini di investimenti, formazione, infrastrutture e politiche industriali.
Capgemini, nel suo report, sottolinea come il successo della reindustrializzazione dipenda sempre più dalla capacità di combinare strategia industriale, governance territoriale e innovazione tecnologica. È evidente, infatti, che i singoli attori economici, pur svolgendo un ruolo centrale, non possono operare in isolamento. Servono politiche coordinate e investimenti pubblici mirati per:
- sostenere la formazione e il reskilling delle competenze industriali;
- rafforzare le infrastrutture logistiche e digitali;
- incentivare le tecnologie abilitanti (come la manifattura additiva, l’automazione avanzata e la gestione digitale della supply chain);
- favorire la cooperazione tra grandi imprese, PMI e centri di ricerca.
In definitiva, la reindustrializzazione è un processo che implica non solo un cambio di rotta strategico, ma una vera e propria ricostruzione culturale e territoriale del modo in cui si produce valore. La sfida per i prossimi anni sarà quella di coniugare resilienza, sostenibilità e competitività in un mondo che ha profondamente modificato — e continuerà a far evolvere — i propri assetti produttivi.
Per università, centri di ricerca e policy maker, questo rappresenta un campo di azione fondamentale: contribuire alla creazione di nuovi modelli di formazione, innovazione e trasferimento tecnologico che sappiano accompagnare e guidare questa trasformazione.
Il report completo è disponibile sul sito del Capgemini Research Institute.